2021 – Il ricordo di Daniela, sua amica e compagna all’ITSOS di Bollate

Incontrai Luca il mio primo giorno di scuola all’ITSOS di Bollate. La classe era già al terzo anno, ma io provenivo da un’altra scuola e non conoscevo nessuno. Rimasi nel corridoio, accanto alla porta dell’aula, in attesa che cominciasse la lezione. Di lì a poco, mi si presentò Luca. Era alto, con un bel sorriso che coinvolgeva anche lo sguardo, e aveva indosso una camicia bianca e un paio di jeans semplici. Mi chiese se ero nuova e cominciò a parlarmi della vita in quella scuola, dall’organizzazione delle lezioni a, soprattutto, l’impegno politico del collettivo studentesco. Mi mise subito a mio agio. Intuii che doveva essere un tipo tosto, ben strutturato e pieno di passione per i propri ideali. Tuttavia, in lui traspariva una certa delicatezza nel modo di porsi e di parlare, che non permetteva a quella sua sicurezza di trasformarsi in arroganza, sebbene qualche volta lo vidi perdere le staffe.

In classe, era un vero studente modello: curioso, diligente, appassionato allo studio e rispettoso dei professori e delle diversità dei compagni. Era spesso lui a incalzarci quando perdevamo di vista l’impegno, forniva spunti di dialogo per tutti, era disponibile a condividere i momenti di studio e non si vergognava a chiedere il nostro supporto, se sentiva di averne bisogno.

Con l’aumentare degli impegni, il gruppo dei compagni di classe diventò per lui un porto sicuro, dove rilassarsi e poter avere conversazioni più personali e intime. Gli piaceva parlare di musica, delle sue esperienze a Berlino e in Irlanda del Nord, parecchio significative per lui, del confronto e degli scazzi con i compagni operai della sezione di Democrazia Proletaria della Bovisa, del movimento punk, che fermentava in quegli anni a Milano, e di tante altre cose…

Al quinto anno, Luca si era fatto carico di parecchie necessità organizzative del collettivo, dopo che molte figure cardine si erano diplomate e avevano lasciato la scuola. Ricordo che una mattina entrò in classe in ritardo, dopo l’intervallo, perché aveva dovuto terminare il cartellone delle lezioni alternative per l’imminente autogestione. La supplente di matematica si rifiutò di farlo entrare e, innervosita dai suoi tentativi di spiegarsi, gli disse di andare in presidenza. A quel punto noi tutti ci alzammo in piedi, sostenendo che se voleva mandarci Luca, avrebbe dovuto mandarci tutti, visto che lui stava lavorando per noi. La supplente uscì dalla classe indignata e Luca, meravigliato da quel gesto di compatta solidarietà, ci rivolse un sorriso di gratitudine.
Lo stesso sorriso che mi si accende quando penso a lui, a 35 anni dalla sua uccisione.